La mostra
2022
Essere “sorelle” non è una questione di carne o di connotati estetici, è una questione di scelte: è un legame inclusivo, un grande abbraccio, che unisce al di là delle parentele.
In ogni persona ci sono un lato femminile ed uno maschile che convivono, non sempre pacificamente: si tratta di non aver paura, di non zittire nessuna parte di noi stessi, di ascoltarci e accettarci, lasciarci arricchire dalle differenze che ci costituiscono.
Siamo stati corrotti da anni di storia che hanno scisso la società in due generi biologici, riducendo le persone a stereotipi limitanti, inserendole in una tautologia dannosa, tossica, in grado di rendere le menti più facilmente manipolabili; mentre la coesistenza di queste due forze invece ha, per natura, un potenziale irriducibile, sinergicamente in grado di collaborare verso nuovi ed infiniti orizzonti.
Non può esserci competitività dove non c’è un arrivo, ma solo obbiettivi comuni.
La prevaricazione di un gruppo su altri, qualsiasi siano i fattori aggreganti, non può che togliere energie e tagliare i ponti con la realtà, vivendo una finzione instabile, le cui regole sono autoreferenziali e fittizie.
Lottare su fronti opposti, sempre più distanti, annichilisce, impedisce il confronto e quindi la crescita.
ShAME è inclusività. È un’indipendenza anarchica basata sulla collaborazione spontanea e naturale di ognuno. Una causa a cui tutti possono e devono prendere parte, scegliendo di non prendere nessuna parte. È un invito a non rifugiarsi in certezze stantie, smascherate dalla modernità e dalla scienza, per volgersi ad un futuro brillante fatto di collaborazione e supporto reciproco, per creare insieme un sistema agglomerante che trovi la propria forza nell’unione, rinunciando ad ogni tipo di categorizzazione.
Il concetto di base è che l’unica caratteristica indispensabile per sentirsi donna è respirare, essere vivi, lasciare che la femminilità latente dentro di noi si possa librare creativamente per dare piena voce ai nostri desideri.
Per ottenere la parità di genere non è necessario raggiungere l’omologazione, mentre la “civiltà” in cui viviamo spesso fa trapelare questo messaggio. Io non credo che si possano incolpare le differenze stesse per la disparità, ma il modo in cui le si è trattate fin’ora. Qualsiasi diversificazione può essere colta in una chiave positiva come occasione per migliorare e mettersi in gioco.
Si è già sofferto troppo per discriminazioni di ogni tipo e sentirsi donna implica anche un coefficiente innato materno, di accoglienza, presente in tutte le persone; che racchiude l’idea di tana e di safe zone aperta, che fa sentire al sicuro, una boccata d’aria insomma.
Essere “sorelle” non è una questione di carne o di connotati estetici, è una questione di scelte: è un legame inclusivo, un grande abbraccio, che unisce al di là delle parentele.
In ogni persona ci sono un lato femminile ed uno maschile che convivono, non sempre pacificamente: si tratta di non aver paura, di non zittire nessuna parte di noi stessi, di ascoltarci e accettarci, lasciarci arricchire dalle differenze che ci costituiscono.
Siamo stati corrotti da anni di storia che hanno scisso la società in due generi biologici, riducendo le persone a stereotipi limitanti, inserendole in una tautologia dannosa, tossica, in grado di rendere le menti più facilmente manipolabili; mentre la coesistenza di queste due forze invece ha, per natura, un potenziale irriducibile, sinergicamente in grado di collaborare verso nuovi ed infiniti orizzonti.
Non può esserci competitività dove non c’è un arrivo, ma solo obbiettivi comuni.
La prevaricazione di un gruppo su altri, qualsiasi siano i fattori aggreganti, non può che togliere energie e tagliare i ponti con la realtà, vivendo una finzione instabile, le cui regole sono autoreferenziali e fittizie.
Lottare su fronti opposti, sempre più distanti, annichilisce, impedisce il confronto e quindi la crescita.
ShAME è inclusività. È un’indipendenza anarchica basata sulla collaborazione spontanea e naturale di ognuno. Una causa a cui tutti possono e devono prendere parte, scegliendo di non prendere nessuna parte. È un invito a non rifugiarsi in certezze stantie, smascherate dalla modernità e dalla scienza, per volgersi ad un futuro brillante fatto di collaborazione e supporto reciproco, per creare insieme un sistema agglomerante che trovi la propria forza nell’unione, rinunciando ad ogni tipo di categorizzazione.
Il concetto di base è che l’unica caratteristica indispensabile per sentirsi donna è respirare, essere vivi, lasciare che la femminilità latente dentro di noi si possa librare creativamente per dare piena voce ai nostri desideri.
Per ottenere la parità di genere non è necessario raggiungere l’omologazione, mentre la “civiltà” in cui viviamo spesso fa trapelare questo messaggio. Io non credo che si possano incolpare le differenze stesse per la disparità, ma il modo in cui le si è trattate fin’ora. Qualsiasi diversificazione può essere colta in una chiave positiva come occasione per migliorare e mettersi in gioco.
Si è già sofferto troppo per discriminazioni di ogni tipo e sentirsi donna implica anche un coefficiente innato materno, di accoglienza, presente in tutte le persone; che racchiude l’idea di tana e di safe zone aperta, che fa sentire al sicuro, una boccata d’aria insomma.
Artist*
Camilla Carroli, classe 2000, è un’artista romagnola diplomata in pittura e mosaico nel 2019 al liceo artistico Nervi-Severini di Ravenna. Percorso di studi in corso presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, Dipartimento di Arti Visive all’indirizzo di Pittura nella cattedra di Simone Pellegrini. Lavora nel campo sperimentale su diversi materiali, prestando particolare attenzione anche all’aspetto filosofico del suo lavoro.